Non abbiamo molte informazioni su Heinrich Aloys Praeger (anche scritto Präger). Il suo nome completo era Heinrich Hijman Chaim Aron Aloys Praeger. Conosciuto come Heinrich Praeger (Präger) e anche Enrico Praeger, nacque ad Amsterdam il 23 dicembre 1783 e morì nella città tedesca di Magdeburgo il 7 agosto 1854 all’età di 70 anni. Padre del compositore Ferdinand Praeger (1815-1891) ha lavorato come violinista – sembra che suonasse anche la viola – era insegnante di cappella, regista e compositore.
Praeger era un compositore apprezzato ai suoi tempi e un rispettato violinista, influenzato dalla scuola violinistica del compositore e violinista Louis Spohr. È stato autodidatta durante la sua giovinezza, mentre viveva a Brunswick, si ha notizia di una sua partecipazione a un tour con un gruppo teatrale che si svolgeva in autunno pare come direttore di banda. Tra il 1818 e il 1828 fu direttore musicale al Teatro di Lipsia e anche per un certo periodo allo Stadttheater di Magdeburgo, sua città natale. Un anno dopo, nel 1829, fu assunto ad Amburgo come «Kapellmeister».
Oltre al suo lavoro come musicista, regista e compositore, ha anche curato la rivista musicale «Polyhymnia», che tra le nove muse greche era la musa della poesia sacra, l’inno sacro e l’eloquenza, durante gli anni 1825 e 1830. La rivista era mensile e consisteva in una raccolta di vari pezzi, molti dei quali trascrizioni di ouverture e arie d’opera, scritti per pianoforte.
La sua musica da camera merita una menzione speciale, con una produzione più che notevole tra cui possiamo evidenziare: undici quartetti d’archi, il trio di archi (op. 12), Tre trio concertanti per archi (op. 42), un quintetto d’archi e il Quintetto per flauto, due clarinetti, viola e fagotto, un quartetto con flauto (op. 12), vari duetti per violini e flauti, un gran duo concertante (op. 41) per violino e violoncello, 36 Adagios choisis des Sinfonies & Quatuors di J. Haydn per violoncello solo o i Dodici Capricci per violino solo (op. 10).
Ma oltre a questo Praeger era anche un insegnante di chitarra e un rinomato chitarrista che ha creato una piccola produzione di straordinario interesse. Ed è questo aspetto che vogliamo specificare in questo commento.
Certamente, si sa molto poco sul lavoro di chitarra di Heinrich Praeger; Per quanto ne so, sono stati registrati solo due lavori: i due duetti per flauto e chitarra e per violino e chitarra. 21 e 26 rispettivamente (il primo è stato registrato in almeno tre occasioni; del secondo ho notizia di una sola registrazione).
È vero che non ha molta più musica per o con la chitarra, ma la sua qualità merita di attirare l’attenzione di questo compositore e un’opera che, sebbene molto scarsa, mi sembra essenziale.
Come riportato da Philip J. Bone nel suo “The Guitar and Mandolin”, edito a Londra da Schott & co. Nel 1914, queste sono le sue principali composizioni per chitarra:
– Esercizi per la chitarra, op. 11 (Breitkopf & Härtel, Lipsia).
– Andante e tema con variazioni per chitarra con flauto e violino, op. 21 (Breitkopf & Härtel, Lipsia).
– Tema con variazioni per violino e chitarra, op. 26 (Breitkopf & Härtel, Lipsia).
– Due volumi di studi per la chitarra, op. 48 (Hofmeister, Lipsia).
– Raccolta di canzoni con accompagnamento di chitarra, op. 29 (Breitkopf & Härtel, Lipsia).
Bone ci dice anche che il figlio di Heinrich Aloys Praeger – Ferdinand Praeger (1815-1891) – era un pianista e chitarrista di grande talento, stabilito a Londra dal 1834 dove compose, insieme a Leonard Schulz, i “Tre duos caratteristici per chitarra e piano »pubblicato da Mori, Lavenu & Co. nella capitale inglese.
(Mario Dell’Ara nel suo ormai classico« Manuale di storia della chitarra. 1: La chitarra antica, classica e romantica »[Bèrben, 1988] attribuisce quest’opera a Heinrich Praeger, attribuzione che sembra essere sbagliata).
Secondo i dati forniti da Bone, possiamo contare un totale di cinque opere. Va notato che Bone omette un lavoro per sola chitarra, op. 29. Pertanto l’elenco delle opere di chitarra di Heinrich Praeger, situate in diverse biblioteche europee, consisterebbe in un totale di sei numeri come segue:
CHITARRA SOLA:
1 – «Esercizi per chitarra, comp. di H. Präger. Oeuvr. 11, a Lepzig, a Breitkopf e Härtel », ca. 1816 (questo lavoro viene annunciato nell’Allgemeine Musikalische Zeitung del 1 maggio 1816, p. 308).
2 – “Arie selezionate per chitarra”, op. 29 (Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1819).
3 – “Continuazione degli esercizi per la chitarra”, op. 48 (2 libri. P. Hofmeister, Lipsia, 1828).
PER CHITARRA E ALTRI STRUMENTI:
4 – “Andante e tema con variazioni per chitarra accompagnato da un flauto e [o] violino dedicato alla signora Emilia di Kotzebue di Enrico Praeger”, op. 21, Lipsia, 1819, numero di targa: 2487 (il riferimento è dal Jahrbuch des Staatlichen Instituts für Musikforschung Preußischer Kulturbesitz, J.B. Metzler, 2001).
5 – «Tema con variazioni per violino e chitarra composto e dedicato alla signora Ludovica Milferstedt di Enrico Praeger», op. 26 (Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1818).
6 – «Lieder und Romanzen von Uhland für eine Singstimme mit Begleitung der Guitarre», op. 64 (Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1825 ca.).
I due temi con variazioni opp. 21 e 26 presentano già una scrittura di chitarra estremamente interessante, un meritorio equilibrio tra i due strumenti e un lirismo ispirato. Non ho trovato una copia dell’op. 21 sebbene esista un’edizione moderna dell’opera pubblicata da Breitkopf (nº 6697), con una recensione realizzata da Frank Nagel e Philippe Meunier nel 1974.
Si dice che l’edizione sia stata realizzata “da un’impressum della Biblioteca Munich State », che sembra essere un errore poiché non esiste una copia di questo lavoro in questa biblioteca. Bone parla dell’op. 21 a partire da un’opera concepita per chitarra con flauto e violino, senza dubbio a causa dell’ambiguità del suo titolo, ma in realtà è un duetto per flauto (o violino) e chitarra, in nessun caso un trio. Il lavoro consiste in un Andante introduttivo e un gruppo di variazioni sulla famosa canzone popolare ucraina Schöne Minka, usata anche da molti compositori: Beethoven, Hummel, Ries o Giuliani stesso nella sua opera. 60.
L’Op. 26 – per violino e chitarra – è composta da un tema in Mi minore con sette variazioni (di cui i numeri 4, 5 e 7 sono in Mi maggiore) e un brillante Allegretto conclusivo sempre in Mi maggiore.
È necessario effettuare una precisione sull’op. 64. Il titolo recita: Lieder e Romanzen von Uhland für eine Singstimme mit Begleitung der Guitarre, ma non è un’opera originale di Heinrich Praeger ma una trascrizione della parte pianistica di Nine Lieder e Romanzen – come noi indica il titolo originale – del compositore tedesco Conradin Kreutzer (1780 – 1849), su testi del poeta romantico, avvocato e filologo Ludwig Uhland (1787 – 1862); poeta musicato da una pletora di compositori: Schubert, Schumann, Brahms, Pauline Viardot, Caroline Unger, Grieg, Max Reger …
L’opera fu pubblicata a Lipsia intorno al 1825, e riproduco sotto la prima pagina manoscritta del primo mentore Das Schloss am Meere (Il castello sul mare), in Fa maggiore.
Infine, è opportuno apprezzare l’enorme importanza che ha la musica per chitarra sola di questo autore così ingiustamente dimenticata, nonostante abbia solo tre opere catalogate.
Sebbene, come abbiamo già detto, offra già una qualità più che notevole nelle sue opere con chitarra, sia nei suoi due temi con variazioni, che nel lieder di Conradin Kreutzer (dove si dimostra come abile trascrittore ed esperto conoscitore delle risorse idiomatiche dello strumento), è nella sua musica per chitarra, senza dubbio, dove Praeger si manifesta compositore eccezionale, sia per la sua immaginazione e versatilità sia per l’eccellente e particolare uso nel trattamento dello strumento.
Al momento della stesura di queste note non sono stato in grado di individuare, purtroppo, alcuna copia degli Esercizi op. 11.
Thomas F. Heck fa riferimento alla recensione pubblicata sull’Allgemeine Musikalische Zeitung del 1 maggio 1816 (“Mauro Giuliani: chitarrista e compositore virtuoso”, Editions Orphée, 1995, p. 78) e chiarisce che, secondo Marco Riboni, l’autore H. Präger non è altro che Heinrich Aloys Praeger (Marco Riboni: “Mauro Giuliani: un aggiornamento biografico”, il Fronimo n. 81 e n. 82).
Marco Riboni – nella sua tesi “Mauro Giuliani (1781-1829): profilo biografico-critico ed analisi delle trascrizioni per chitarra”, Parti I-II (Università degli Studi da Milano, 1992) – menziona anche il passaggio di Heck, sebbene a quel tempo non riconosce ancora il compositore, del quale dice “… un H. Praeger non ben identificabile”
Riporto qui il testo della recensione AMZ e quindi una sua traduzione abbastanza libera, ma penso che ci dia alcune informazioni fondamentali su Praeger e la sua musica per chitarra:
“Herr Präger comprende lo strumento, e in particolare l’uso di parti complete di esso, come Giuliani lo introdusse per la prima volta in Germania; Questo lavoro lo dimostra chiaramente. Riunisce un numero considerevole di concetti, figure melodiche, curve di armonia, ecc., Che sono in gran parte – se non del tutto – originali; chiunque voglia imparare a suonare la chitarra in questo modo li eserciterà con grande vantaggio e, se rimarrà diligente, alla fine ringrazierà Herr Präger. È vero che l’autore richiede interpreti già abbastanza esperti e che gradualmente li porta sempre più avanti; e che si occupa della diversità dei brani in termini di tempo, forma ed espressione. Ed è per questo che il lavoro merita applausi e buona accoglienza.»
È molto significativo valorizzare questo commento del 1816 perché ci fornisce informazioni molto rilevanti sul modo di comporre Praeger e, con grande concisione e precisione, stabilisce ciò che potremmo considerare il germe o la caratteristica essenziale del suo modo di comporre per la chitarra . Più tardi ci ritorneremo.
In relazione alla recensione, forse sarebbe necessario mettere in discussione il ruolo di Giuliani come “introduttore” di un nuovo stile compositivo per chitarra in Germania. Certamente è stato detto molto frequentemente e correttamente dell’enorme influenza di Giuliani tra molti chitarristi compositori del suo tempo, tuttavia è meno frequente riconoscere l’influenza che questi compositori esercitarono (specialmente quelli che erano già stabiliti a Vienna quando arrivò Giuliani nel 1806), senza dubbio, sul compositore italiano.
Si consideri, ad esempio, che la Grosse Sonate op. 7 di Simon Molitor fu pubblicato da Artaria a Vienna intorno al 1806 e nel suo famoso Vorrede (Prefazione) – considerato da alcuni autori, come Francesco Gorio, il manifesto del classicismo alla chitarra – siedono, o almeno codificano, le basi di un modo di comporre per lo strumento che difficilmente può essere attribuito solo ed esclusivamente a Giuliani che a quel tempo era appena arrivato nella capitale dell’Impero.
Se esaminiamo la bellissima Sonata di Molitor di seguito, dubitiamo ancora di più dell’affermazione che Giuliani sia stato il presentatore in Germania di un modo di scrivere per la chitarra Behandlung vollstimmige, cioè con un trattamento completo delle parti. Lo stesso si può dire delle opere di compositori come Matiegka, Diabelli o Traeg, tra gli altri.
Non è del tutto improbabile, sebbene con riserve, la possibilità di considerare questa op. 11 come “prima parte” della Suite di esercizi op. 48. L’ubicazione, se possibile, di quest’opera sarebbe di grande interesse.
Philip J. Bone, nel suo libro del 1914, non menziona “Airs choisis àrrangés pour la guitarre”, op. 29, pubblicato da Breitkopf & Härtel a Lipsia nel 1819.
Pur tuttavia Domingo Prat nel suo famoso dizionario di chitarre, chitarristi e chitarristi, pubblicato a Buenos Aires da Romero e Fernández nel 1934 stabilisce due voci diverse —PRAEGER , H. e PRÄGER, Enrique Alois—, senza dubbio a causa della diversa ortografia di entrambi, sebbene sia lo stesso compositore e chitarrista.
Nel primo ci dice alla lettera: «Chitarrista compositore, di cui il suo op. 29 “Airs choisis”, era alla fine del secolo scorso, nella casa C. A. André, a Francoforte. »
Nella seguente voce (PRÄGER, Enrique Alois) ci offre informazioni interessanti sull’autore, anche se imposta erroneamente il giorno della sua nascita il 24 anziché il 23 dicembre: «Chitarrista, violinista e compositore. Nacque ad Amsterdam il 24 dicembre 1783. Si esibì a Lipsia, Hannover e Magdeburgo. Ha pubblicato diversi lavori per sola chitarra e per questo, con altri strumenti. Era un grande amico di Giuliani, con il quale più di una volta è apparso in pubblico. Morì a Magdeburgo il 7 agosto 1854. Citato da Bone, Mendel e altri. »
La «Airs choisis àrrangés pour la guitarre», op. 29 consistono in un totale di venti pezzi estratti da numeri sia operistici che strumentali, talvolta accompagnati da un gruppo di variazioni dello stesso Praeger. Il compositore scrive anche tre brani originali: Angloise (n. 17), Walzer (n. 18) e Wiener Lied mit Variationen (n. 20).
Tra gli autori selezionati vi sono compositori come Spontini, Méhul, Mozart, Franz Joseph Haydn o Martín y Soler, del quale si include il Duett aus “Una cosa rara” (n. 14), che è un frammento del famoso Duetto II Act, scena XV, “Pace, caro mio sposo” dell’opera del compositore valenziano.
Una cosa rara, cioè bellezza ed onestà, presentata al Burgtheater di Vienna nel 1786.
Il resto dei brani scelti sono costituiti da opere che spaziano dal famoso inno “God save the King” fino alla Marsch der Priester dell’atto II di Die Zauberflöte (adattato anche da diversi compositori chitarristi come Sor, Carulli o Molitor) o la bellissima trascrizione del bellissimo coro con unico tenore “Ah, grazie si rendano” dell’Atto II, scena V di La clemenza di Tito, entrambi di Mozart.
Scopriamo qui una scrittura molto suggestiva, con uno sviluppo preciso e completo di tutte le parti e con risorse idiomatiche davvero eccezionali.
Ma il suo capolavoro, dal punto di vista chitarristico, è senza dubbio la sua “Suite di esercizi per la chitarra”, op. 48, pubblicato in due volumi o libri da Friedrich Hofmeister a Lipsia nel 1828.
Anche se sarebbe conveniente fermarsi su ciascuno dei pezzi per commentarli individualmente – vista la mole di pregi e le interessanti peculiarità della scrittura per la chitarra – questo non è il momento giusto per eseguire un’analisi dettagliata e dettagliato di tutta questa musica. Vorrei comunque commentare alcune delle sue caratteristiche più significative, illustrandolo con alcuni passaggi specifici.
È necessario difendere con convinzione, la superba scrittura e l’enorme qualità musicale di questi esercizi, che rende Heinrich Praeger, anche fosse solo per questo lavoro, un compositore da rivendicare, la cui figura dovrebbe essere rivalutata in modo convincente per sottrarla di disattenzione e oblio in cui è rimasto per più di 200 anni.
L’opera è composta da 16 pezzi (Esercizi) distribuiti rispettivamente in due libri da 10 e 6 pezzi, costruiti sui modelli di base di quello che è stato tradizionalmente chiamato classicismo viennese, senza dimenticare l’importanza e l’influenza fondamentali – spesso dimenticate all’oblio— che lo stile napoletano ha avuto in questa musica. Qualcosa di simile accade a molti chitarristi italiani di base a Vienna durante i primi anni del secolo; Mauro Giuliani ne è un esempio illustre.
La prima piacevole sorpresa si trova nel primo dei pezzi: una brillante Marcia scritta in chiave di Fa Maggiore. L’uso di tonalità non molto frequenti nella chitarra è una delle caratteristiche del lavoro di Praeger (Fa Maggiore, Si bemolle maggiore, Si minore o Mi bemolle maggiore), scritto con il colore, le varianti di tessitura, con una precisione e un’ammirevole economia delle risorse, cose che implicano una profonda conoscenza dello strumento; caratteristiche presenti in tutte le parti dell’op. 48.
Qui di seguito troviamo il primo capolavoro del gruppo: uno splendido siciliano. Andante dolce ed espressivo di straordinaria bellezza in cui Praeger mostra la sua grandezza creativa e, come abbiamo indicato, la sua ammirevole capacità di creare trame diverse che conferiscono una grande varietà e ricchezza alla partitura. Praeger riesce a superare le difficoltà imposte come conseguenza di una tessitura limitata, tipica della chitarra.
Le prime misure, impregnate di raffinate sottigliezze tonali e inflessioni armoniche, evocano gli aromi di uno Schubert ancora poco distante (l’opera è pubblicata nel 1828, anno della morte di Schubert):
Abbiamo insistito sulla capacità di Praeger di creare diverse trame (non solo ritmiche ma anche timbriche e armoniche) che arricchiscono sostanzialmente il suo discorso musicale. In questo senso è rilevante sottolineare la sua continua preoccupazione nel fornire varietà ritmica e colore armonico alla sua musica. I limiti dello strumento stesso vengono così risolti in modo molto efficace attraverso arpeggi con motivi ritmici variabili, passaggi accordali seguiti da passaggi di carattere più contrappuntistico, varianti ritmiche e armoniche dei temi, passaggio di note o ornamenti con diversi disegni ritmici, uso dell’articolazione come risorsa espressiva, timbri, armonici naturali…
Nell’esempio sopra citato di Siciliano (Esercizio nº2 del libro I) possiamo anche apprezzare questa varietà di disegni ritmici che danno alla sua musica dinamismo e freschezza:
I passaggi arpeggiati sono molto frequenti, con uno sviluppo di arpeggi in tutte le possibili combinazioni e, spesso, intervallando diversi disegni nello stesso passaggio.
Tra i molti esempi possiamo citare un pezzo che è costruito quasi interamente su arpeggi; si tratta del “Capriccio, Allegro moderato” (Esercizio nº 6 del libro I).
In esso, inoltre, possiamo apprezzare, fin dalla sua prima misura, una risorsa utilizzata da vari chitarristi, in particolare quelli con base a Vienna all’inizio del 19 ° secolo come Molitor o Matiegka, (ma non solo per loro, Charles Doisy già prescrive il suo impiego nel suo TABLEAU Renfermant Trente Manières d’Arpéger appartenente ai suoi “Principi generali della Guitare”, intorno al 1801). Si tratta di eseguire un arpeggio di quattro note – ad esempio una successione ascendente, come nel brano sopra citato – diteggiato nella mano destra con le dita p-i-m-a in cui ad un certo punto vengono abbinate le dita p-i sulla stessa nota e nella stessa corda:
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Troviamo anche arpeggi violinistici, con la nota ora ripetuta nella voce superiore, come nel caso del brano n. 5 del libro II, che può essere interpretato con una diteggiatura: p-i-m-i / a-m-i-p:
D’altra parte, l’uso di barré parziali con le dita della mano sinistra è frequente, usato di frequente anche in Molitor o Matiegka. In questo stesso pezzo troviamo un barré a due corde (terza e seconda) con il dito 3:
O un barré su due corde (seconda e prima) con il dito quattro nella magnifica “Intrada Andante – Polacca Allegretto”(Esercizio n. 3 del libro II):
Anche un barré su tre corde (terza, seconda e prima) con il dito 4, nel già citato Capriccio (Esercizio nº 6 del Libro I):
A volte le risorse utilizzate stabiliscono una trama polifonica che potrebbe ricordare la sonorità della sua musica da camera (va ricordato che Praeger ha scritto numerosi quartetti, trii e diversi quintetti). Mostrano anche, secondo me, una procedimento molto efficace nel suo costante impegno per dare alla sua musica per chitarra varietà di suoni, timbri e piani dinamici. In questo senso – sebbene Praeger sia molto attento nello sviluppare una scrittura a parti complete – troviamo un passaggio, come quello corrispondente all’ Allegretto (Esercizio n. 5 del Libro I), in cui compaiono 10 battute in cui è scritta solo la voce superiore , senza basso o riempimento armonico, il che può sorprendere dato il modo abituale di scrivere dell’autore. Ma ad una seconda lettura capiamo che non è una disattenzione o qualcosa di casuale, ma che riflette una chiara intenzione. Le misure – che si ripetono poco dopo, già nella tonica – sono fatte essenzialmente da una serie di scale in sedicesimi e gradi congiunti, ma quattro di esse offrono una struttura simile a un piccolo arpeggio con la nota superiore ripetuta, che penso che sia conveniente diteggiare – per rafforzare ulteriormente quel carattere dell’accordo arpeggiato a cui abbiamo accennato – in tre corde (terza, seconda e prima) con le dita i-p-a-m. A continuazione, accordi di quattro note preparano la cadenza con un trillo incluso scritto in biscrome e risolvono infine sulla dominante in re maggiore con cui si conclude la prima sezione del brano. Questa modalità di scrittura può facilmente ricordare, ad esempio, un quartetto d’archi in cui il primo violino esegue alcune brevi parti solistiche prima che il resto degli strumenti si unisca per concludere la cadenza a quattro parti complete. Ma in questo modo si ottengono anche piani sonori molto contrastati che arricchiscono il trattamento espressivo della chitarra ed evitano la possibile monotonia che deriva da un tipo di scrittura più completo ma ridotto a una tessitura più limitata:
Un esempio della sua preoccupazione di dare priorità agli aspetti strettamente musicali invece che chitarristici si trova nel pezzo n. 1 del Libro II, una bella “Preghièra con Variationi” in cui l’autore specifica “Mit Capo tasto auf dem 3. Bund”, è dire con un capotasto sul terzo tasto. Non è la prima volta che ci troviamo nella letteratura di chitarra dell’epoca con un’indicazione simile. A volte l’uso atipico di una chitarra terzina per un repertorio solista è spesso giustificato – anche se non sempre – dalla difficoltà delle estensioni che l’opera presenta (come accade con la Fantaisie Variée op. 7 di Zani de Ferranti). In questo caso, l’uso di una chitarra terzina non è specificato, a quello si preferisce l’uso del capotasto sul terzo tasto, senza dubbio con lo scopo di trasportare in Do maggiore un brano scritto in Mi bemolle maggiore, che è il suo tono originale. Il requisito non è tecnico ma musicale, ed è molto rilevante l’interesse espresso dal compositore (al di là della mera tecnica chitarristica) nel determinare una precisa area tonale:
È frequente nella sua musica, contrariamente alla maggior parte delle partiture stampate dell’epoca, l’indicazione molto dettagliata di poche diteggiature molto precise, che di solito sono indicate quando un passaggio offre una difficoltà specifica o quando l’autore vuole un effetto sonoro preciso. Di solito sono indicazioni rivelatrici ed efficaci, sebbene alle volte abbiamo trovato soluzioni che, sebbene sembrino razionali, crediamo anche che offrano difficoltà aggiuntive.
A titolo esemplificativo questo passaggio dal suo già citato Polacca (Esercizio n. 3 del libro II), in cui la ripetizione del dito 4 nel salto da Fa # (seconda corda) a Si (prima corda), che si ripete anche tre volte consecutive, diventa, quanto meno, stancante. Forse sarebbe più comodo eseguire il bicordo Fa # -La con le dita 3-1 e le semicrome Si-La della parte acuta con 4-1:
Passaggi di legati tesi ad evidenziare l’articolazione, chiaramente idiomatici e che sono determinati da ogni attacco della mano destra su ciascuna delle corde, in una scala che culmina con un armonico (Capriccio Esercizio n. 6 del libro I):
Praeger, come altri chitarristi suoi contemporanei, a volte usa anche il pollice della mano sinistra; Ciò è indicato in un passaggio dal Siciliano (Esercizio n. 2, libro I) per il Fa # del basso:
Non vorrei finire senza menzionare un pezzo assolutamente straordinario, probabilmente il migliore della raccolta: l‘Allegro moderato (Esercizio n. 7 del libro I) in Mi minore, che in realtà è un magnifico tempo di Sonata di due pagine. Si tratta di un lavoro splendido per la sua ispirazione, per la scrittura concisa, efficace ed equilibrata, i suoi continui contrasti di trame sia ritmiche che espressive, per l’uso dell’articolazione e dell’agogica e per il suo innegabile effetto drammatico. Dopo le prime otto misure introduttive, viene presentato un tema di eco mozartiana (ricorda anche il Rondo de la Sonata op. 23 in Si minor de Matiegka):
Questa varietà di risorse e trame può essere anche apprezzata nel terzo rigo, dove troviamo una sequenza di otto misure distribuite come segue: nelle prime quattro, arpeggi di quattro note ascendenti e poi note discendenti alternate; poi due battute con una melodia in ottavi nella voce superiore inserita in un arpeggio che è ancora in sedicesimi (ma ora modificato ritmicamente) e infine altre due misure in cui un tempo lungo (accordo di semiminime) si alterna con un altro tempo in arpeggio ascendente di quattro sedicesimi, entrambe collegate da un’appoggiatura di croma nel basso della quarta corda che esegue un intervallo discendente di seconda minore (Mi bemolle-Re). Tutto questo prima di un punto coronato su di una pausa di semiminima che lascia il posto al secondo tema nel relativo maggiore: Sol maggiore:
Indicazioni agógiche:
Passaggi virtuosistici in cui, inoltre, il registro viene esteso sfruttando le corde a vuoto nell’accompagnamento (terza misura del secondo pentagramma), e alcuni schemi ritmici vengono modificati quando si ripete lo stesso passaggio:
Il pezzo è scritto con grande precisione e maestria. Nel finale dell’esposizione (e anche in quello dell’opera), prima di raggiungere l’accordo Sol maggiore, Praeger ripete quattro volte gli accordi di dominante con settima e tonica in un ritmo agile di crome nel basso (le fondamentali degli accordi) e diminuzioni in sedicesimi nella voce superiore, di grande effetto drammatico:
Al di là delle tipiche risorse strumentali – alcune delle quali ho citato – Praeger ci dà l’impressione di essere davanti a un compositore che non compone pensando unicamente alla chitarra. A mio avviso, questi pezzi sembrano essere concepiti più come pura musica. Ciò che intendo, sebbene questa definizione sia un po ‘ambigua e svalutata, è rendere palese la volontà di questo compositore di creare musica per chitarra senza la chitarra. Cioè, mentre la maggior parte della musica per chitarra del periodo è essenzialmente concepita in modo idiomatico, Praeger sceglie una concezione più astratta, evitando deliberatamente – per quanto possibile, ovviamente – le condizioni che una scrittura puramente chitarristica comporta.
Tuttavia, ciò non indica affatto che la sua scrittura non sia valida da un punto di vista chitarristico, suggerisce semplicemente che il punto di partenza non è la tastiera della chitarra. Sembrerebbe piuttosto che utilizzi il “chitarrismo” per rendere eseguibile le sue opere. Questo è il motivo per cui spesso troviamo nella sua musica procedure tecniche e stilemi che lo avvicinano ad autori come Molitor, Matiegka o Giuliani, ma allo stesso tempo il processo di adattamento della sua musica alla chitarra – e questa è la cosa più eccezionale – condiziona anche all’uso di risorse particolari che determinano soluzioni e risultati molto originali per la letteratura chitarristica di quell’epoca.
A tal punto da darci l’impressione che Praeger stia adattando alla chitarra musica originariamente concepita per un altro strumento, che paradossalmente non esclude, in alcun modo, che la sua musica sia semplicemente da chitarrista.
Sarebbe necessario condurre un’indagine rigorosa su questo compositore e sul suo lavoro per chitarra.
Speriamo che questo approccio modesto alla sua figura possa attirare attenzione su un compositore a nostro avviso molto interessante.
Praeger è autore eccellente di un repertorio tristemente abbandonato dai chitarristi e mi sembra che il suo recupero, necessario, sarà un contributo essenziale. Fosse anche solo per l’op. 48 Praeger merita di essere in prima linea tra i suoi contemporanei.
Filippo Edoardo Araniti – con il quale ho avuto il piacere di collaborare modestamente ad alcuni lavori di revisione e al quale ho parlato dell’importanza di questo autore, a lui già noto – ha recentemente annunciato la prossima pubblicazione nel suo editoriale del lavoro di chitarra di Heinrich Aloys Praeger Un’altra perla nell’infaticabile e straordinaria opera che il Maestro Araniti svolge da decenni. Saremo lieti di questa nuova, desiderata ed essenziale pubblicazione.