Chitarra vs. Chitaristocrazia: innovazione Vs. Tradizione.
La chitarra, storicamente, appartiene contemporaneamente al mondo aristocratico e a quello popolare. In passato grandi chitarristi suonavano a corte una musica raffinata e coltissima che rispondeva alla scienza esatta della composizione dell’epoca. Allo stesso tempo, fioriva parallelamente un mondo ricchissimo di musica popolare i cui protagonisti, spesso sconosciuti, contribuivano alla storia dello strumento con melodie e danze di grande bellezza.
Lo scambio culturale tra generi musicali era proficuo, basti pensare che Schumann nelle sue “regole d’oro” incoraggia gli allievi a trarre ispirazione dalla musica popolare. Nessuna meraviglia dunque se entrambi i mondi godevano di scambio costante e la musica popolare entrava a corte e viceversa. La musica garantiva un terreno comune per tutti.
L’aristocrazia della chitarra: Chitaristocrazia
Il filone “aristocratico” si è protratto per gran parte del secolo XX fornendo artisti di grande caratura. Artisti che hanno saputo parlare ad un pubblico molto vasto attraverso la ricerca ed il coinvolgimento di compositori in grado di interpretare l’identità dello strumento. Nel secolo XX il repertorio chitarristico, già importantissimo nei due secoli precedenti, prende un peso storico ancora più grande. Le figure di Segovia, Anido, Pujol, Walker, Bitetti, Tavora, Abreu e molti altri consolidano la permanenza della chitarra nelle grandi stagioni.
Poi, negli anni ‘70, qualcosa cambia.
Prende il sopravvento una chitarra che ammicca al gusto “popolare” o popolaresco che poco a poco sostituisce il repertorio “colto” dello strumento con musica meno strutturata. Brani brevi, danze popolari, con qualche incursione sporadica nel repertorio classico alle volte vista quasi “come un dovere”. Ne risulta un progressivo spopolamento delle sale in occasione dei concerti di chitarra. Chi ha esperienze organizzative sa di cosa parlo.
Il gusto degli esecutori cambia e il repertorio di chitarra “classica” viene etichettato come noioso
Parallelamente si comincia ad imputare alla qualità del repertorio (scarsa nella mente di taluni chitarristi, specie se comparata a quello del pianoforte) le pecche forse dovute a mancanze culturali personali dei vari interpreti.
La chitarra “aristocratica” non trova più spazio nel mondo dei festival di chitarra e il dualismo che tanto aveva prodotto in passato comincia a sgretolarsi dando origine ad un chitarrista nuovo. Il prototipo del nuovo chitarrista non è più latino ma anglosassone e assicura una correttezza tecnica pressoché assoluta magari rinunciando all’espressività travolgente tipica del mondo latino.
Il fenomeno prelude ad una virata verso l’aspetto “meccanico” dello strumento e sembra piacere moltissimo a quei giovani che volevano trovare un proprio spazio. Come dargli torto? Offre da un lato l’alternativa a quei dilettanti del passato tutto cuore e niente tecnica e assicura dall’altro un sostituto “a buon mercato” agli esecutori “aristocratici”.
Il “mondo chitarristico” attuale
La chitarra lascia progressivamente le grandi sale che mal si adattano alle nuove scelte di un repertorio di spessore non comparabile agli omologhi di altro strumento. Restano nelle grandi stagioni pochi esecutori che perpetuano la grande tradizione di eccellenza mentre inizia un percorso di spaccatura tra chi frequenta le grandi stagioni concertistiche e chi sceglie un mondo esclusivamente chitarristico che progressivamente si ripiega su sé stesso. Un mondo a misura del nuovo chitarrista. Naturalmente con qualche sporadica eccezione.
Il cosiddetto “nuovo che avanza”
Il “nuovo che avanza”, però, nasconde un’insidia: ogni chitarrista crede di poter prendere il posto di Andres Segovia e per farlo comincia un’opera di lenta delegittimazione dei grandi aristocratici della chitarra, al grido di “abbasso i miti”, e di omissione di informazione che li riguarda. Ne risulta un panorama che sposterà il suo baricentro verso un mondo popolato di chitarristi in cui:
i musicologi sono chitarristi, da chitarristi sono amministrate le riviste e i festival di chitarra.
A margine nascono concorsi, intesi a trovare dei nuovi miti “usa e getta”, qualcuno da rendere famoso per un anno ma anche più, giacché nasce la figura del concorsista che fa concorsi fino al limite di età possibile, 35 anni! Il tutto fino al vincitore successivo, tutto un pullulare di stagioni di giovani talenti, corsi estivi utili ad allungare improbabili curriculum di giovani che tentano la scalata al mondo esclusivo della chitarra. Un mondo che però si regge su contenuti extra musicali.
Il sistema viene condito di luoghi comuni atti a legittimare la filosofia usa e getta, primo fra tutti “gli interpreti giovani di oggi sono meno espressivi ma molto più tecnici”. Ora, chi conosce un po’ le registrazioni storiche ha difficoltà a bersi una fandonia del genere: basta risalire agli interpreti dotatissimi degli anni 80 e 90 (Pellegrini, Mueller Pering, Yamashita, Hall) che affiancano ad una tecnica impressionante doti di enorme musicalità. La falsità del luogo comune dovrebbe mettere in guardia i giovani ma si sa che spesso le cose non vanno per il meglio…
Un bilancio provvisorio
Proviamo a fare un bilancio dei risultati ad oggi: parrebbe che il mondo della chitarra classica sia gestito da una piccola élite di chitarristi, che decide cosa sia bello e cosa non lo sia. Questa elite, spesso, non eccelle in termini musicali, talvolta non suona neppure, magari soffre di inferiorità culturale e percepisce il proprio strumento come “di serie B”. Una elite che tace ipocritamente su quanto accade al di fuori del ristretto mondo di cui essi stessi sono gli artefici. In questo scenario si alternano tre figure: il concertista (se cosi lo si può chiamare visto che la qualità in genere non è implicata), l’organizzatore ed il recensore. Fino a qualche tempo fa le tre figure magari si alternavano e quindi un unico individuo poteva prendere la posizione di uno dei tre attori a turno.
A suonava, B organizzava, C recensiva.
Poi scambiavano i ruoli. In questo meccanismo evidentemente perverso ci sono due cardini imprescindibili: lo scambio e la capacita di avere pubblicità. Questo fino a ieri.
Ultimamente, vista l’evaporazione del mercato (per mancanza di arte e abbondanza di noia ai concerti secondo chi scrive), abbiamo organizzatori che suonano e si recensiscono. A corollario di questo sistema è stato elaborato un vocabolario di iperboli che dovrebbero stupire pubblico e addetti ai lavori. All’interno del “circolo delle pacche sulle spalle” è tutto un cinguettio di complimenti. Fanno tutti finta di credere alle panzane che che si raccontano salvo magari commentare nel segreto della propria aula di conservatorio tutto il male possibile, una specie di ipocrisia al quadrato.
Tognazzi e la supercazzola
Il quadro esposto si avvale di un solido impianto filosofico dal linguaggio semi incomprensibile (un po’ come la supercazzola di Tognazzi) che legittima la posizione di taluni. In pratica come tentare di dimostrare di fare sempre centro scoccando frecce a caso e poi disegnando i bersagli intorno al punto in cui si sono conficcate, facendo attenzione che il linguaggio sia sufficientemente incomprensibile da dare l’impressione di essere tecnico e degno di fiducia.
Guitaristocracy
È ancora possibile un’alternativa? Noi siamo, ovviamente, convinti di si. L’alternativa deve passare attraverso il fuoco dell’analisi storica affidata a musicologi che si interessino di chitarra e non chitarristi che si dilettino di musicologia. Questo passo è fondamentale per ripristinare il reale spessore culturale del nostro strumento. Lo spessore che non può essere subordinato ad analisi storiche basate sulle ricerche (o mancate ricerche) della musicologia di stampo germanico. Una musicologia che ha assunto la triade viennese a modello assoluto relegando tutti quegli strumenti (fra cui la chitarra, il mandolino e l’arpa) che non facevano parte del corpus principale dell’opera dei miti della Wiener Klassik al ruolo di cenerentola della musica.
Siamo convinti anche che bisogna tracciare una linea di eccellenza che unisca i pochissimi musicisti che suonano la chitarra di oggi ai titani che hanno animato la chitarra di ieri. Proporremo ascolti comparativi di opere eseguite da grandi del passato e da esecutori moderni che, a giudizio del comitato scientifico, costituiscono un’evoluzione e non un involuzione.
Cercheremo di proporre articoli su repertorio ottocentesco di grande spessore mai eseguito in epoca moderna. Proveremo a suggerire opere di compositori contemporanei che sviluppano gli aspetti maggiormente comunicativi del nostro strumento.
Il nostro intento non è quello di creare una élite che sostituisca il “gruppetto delle pacche sulle spalle”, anzi, al contrario, cercare di trovare materiale di una qualità dignitosa su cui intavolare discussioni, verificare il limite di quanto scritto, apportare tesi a confutazione, espandere e “includere” quanto più possibile. Con l’obiettivo di fornire un riferimento per quelle fonti taciute dalle varie élite per i motivi più disparati, dalla semplice ignoranza alla volontaria omissione.
In fila? No, grazie!
Ad un concorso tenutosi di recente ho domandato ad un folto numero di concorrenti che cosa si aspettavano dal futuro. Tutti, senza eccezioni, sembravano avere le idee chiare: fare concerti, vincere qualche concorso, insegnare in una scuola preferibilmente pubblica (si dovrà pur campare!). La cosa che a loro sembra assolutamente normale e che invece a me atterrisce è che tutti abbiano gli stessi sogni. Un po’ come essere preparati a mettersi in fila. La cosa che loro non vedono è che l’omologazione dei sogni corrisponde all’omologazione della preparazione artistica, all’appiattimento dell’arte. Quello che il mio amico Daniele Sepe chiama l’etica del “pollame di batteria”.
E allora, che fare? Noi crediamo che la conoscenza sia la chiave e che la conoscenza debba partire dalla tradizione. Questo blog nasce per mettere a disposizione di tutti, ciò che noi sappiamo sulla nostra storia e che, per motivi diversi, non trova spazio nell’informazione guidata dall’ “elite della chitarra”. Spazio dunque alla “Chitaristocrazia”, alle nostre radici, all’estetica del bello che produce verità. Fateci sapere che ne pensate.
Chitarrista, arrangiatore, compositore e didatta. Ha inciso per la Decca e suonato nei più importanti teatri del mondo. È Honorary Associate della Royal Academy di Londra. E’ l’inventore del Metodo Catemario, un metodo pratico di avviamento musicale di formazione dell’orecchio basato sul sistema dei partimenti di scuola napoletana. Ha scritto il manuale “rudimenti di interpretazione”, ha scritto un musical “Tu staje cuntenta!” Edoardo ha registrato un brevetto industriale.