Guitaristocracy, una premessa
La chitarra classica, complice una musicologia germanocentrica, è stata relegata a cenerentola della musica classica. Già alla fine dell’800 era possibile notare come nei libri di storia della musica si facesse largo un’idea concentrata sul pianoforte, tralasciando completamente quello che era stata la chitarra nei cinque secoli precedenti o spesso riducendola a mero strumento popolare.
In questo dimostrando di dimenticare o occultare semplici dati storici come la frequentazione della corte di Vienna da parte di Giuliani, le sue amicizie con Beethoven, Hummel e Moscheles, i contributi di Boccherini, Sanz o, in tempi più recenti, Castelnuovo tedesco, Tansman, Turina e via via altri fino a Henze e contemporanei. E d’altra parte giudicare come “minore” l’enorme patrimonio storico di brani di autori fondamentali che vanno da Luys Milan a Victor Jara, da Sanz a Yupanqui è una operazione “folle” ma riuscitissima.
Un pesce, una scimmia e un elefante
Per ottenere questo risultato la cifra estetica è stata ridotta a mero paragone nei confronti del pianoforte. Uno strumento molto più giovane della chitarra, che non ha il vibrato, che basa la sua grandezza sulle convinzioni asseverate dalla musicologia germanocentrica. Asservire l’estetica della chitarra a quella del pianoforte è un po’ come giudicare un pesce dalla sua attitudine a salire su di un albero o un elefante dalla sua capacità di rinquattarsi nella tana di un topo.
La chitarra, come Giano bifronte
La chitarra ha sempre servito tutti gli strati sociali. Ha reso possibile una costante contaminazione quasi del tutto estranea agli altri strumenti. Questa trasversalità dello strumento e del suo repertorio ha anche garantito, nei secoli, una freschezza di ispirazione unica. Questo almeno finché le due facce dello strumento, quella aristocratica e quella popolare, sono rimaste vive ed equidistanti. La doppia matrice, aristocratica e popolare ha permesso in passato il fiorire di un repertorio enorme e uno stuolo di esecutori che popolavano le corti dell’800 ed i grandi teatri del ‘900.
Originalità, un nome pomposo per dire ignoranza
La componente “aristocratica” della chitarra è stata poco alla volta completamente soppiantata da una nuova generazione di esecutori e compositori. Forse la perdita di interesse per l’eccellenza instillata dalla cultura germanocentrica e anglofona o forse l’inserimento progressivo di una cultura basata sull’oblio del “troppo buono” al grido di “abbasso i miti” hanno aiutato questo processo. Processo che è stato, ovviamente, anche questo trasversale ed ha interessato sia i grandi interpreti di tradizione cosiddetta classica che quelli della tradizione cosiddetta popolare e che ha di fatto permesso il predominio monopolistico a generi in lingua inglese (nel pop, rock ma anche nella musica classica). Questi nuovi “musici” hanno preferito basare il loro repertorio e le loro composizioni sull’analisi di mercato invece che sull’ispirazione. Hanno preferito abbandonare il “solco della tradizione” (che in alcuni paesi, per ovvie ragioni storiche, si limita a poche centinaia di anni) per tentare operazioni di revisione anti storica ricorrendo al concetto di “originalità”. Originalità che (per dirla come Catemario) spesso non è altro che “Un nome pomposo che taluni danno alla propria ignoranza”.
I tempi attuali volgono verso un repertorio fatto di informazioni molto semplici. Gli esecutori che lo propagano, spesso, non potendo eccellere nei valori comunemente ritenuti “colti” hanno optato per un repertorio leggero. E fanno bene! perché quando si avventurano nell’esecuzione di brani di grande tradizione (dall’opera al repertorio colto strumentale) ne escono o con una noia mortale o con piglio neo-melodico. Quelli che conoscono i grandi interpreti di tradizione guardano con un certo sconforto queste nuove “star” che si prestano ad un confronto impari con la grande tradizione esecutiva, tradizione ormai quasi del tutto persa.
Guitaristocracy
Questo blog si propone di riallacciare il legame con le radici dei grandi esecutori della chitarra con una serie di articoli che spazieranno dalla musicologia alla tecnica, alla pubblicazione di video storici e di “aristocratici” attuali, al recupero del patrimonio dimenticato, alla pubblicazione di materiale divulgativo di qualità. Contiamo su di un comitato scientifico che vanta nomi di primissimo piano del concertismo internazionale (Edoardo Catemario), della composizione e del tango (Fernando Tavolaro), della musicologia (Luca Bianchini e Anna Trombetta), della ricerca storica del repertorio (Filippo Eduardo Araniti) e speriamo che questa nostra iniziativa incoraggi molti altri a contribuire nel prossimo futuro.
E ora?
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